“Venezia: Tornare alla sua Essenza”, testo di Marco Vidal, 2015, ita

Ho sempre pensato che Venezia potesse diventare una città modello nel mondo per qualità di vita e per una dimensione umana e sociale ormai persa nelle maggior parte delle città moderne dove incontrarsi per strada e condividere spazi pubblici è diventato un aspetto raro e ricercato.

Avendo la possibilità di viaggiare ne ho spesso conferma: le città più all’avanguardia cercano di creare al proprio interno degli spazi pedonali di socialità. La tendenza delle amministrazioni pubbliche e degli urbanisti più illuminati è di cercare di creare degli spazi residenziali dove viene promossa la socialità, punti di ritrovo arricchiti spesso da contorno architettonico di pregio, offerta di spazi museali e polmoni di verde dove vengono neutralizzati i rumori, l’inquinamento, la pressione pubblicitaria e il caos dell’esterno.

Trent’anni fa questa poteva essere la base di partenza di una nuova Venezia proiettata al futuro, dove questa dimensione esisteva già, arricchita da un patrimonio architettonico e artistico unico al mondo e da un ambiente, la laguna, assolutamente straordinario. 

La sfida era economica, dare alla popolazione residente delle prospettive in termini di occupazione, differenziazione dei comparti lavorativi e collegamenti con il territorio veloci e compatibili con i tempi della vita moderna.

Trent’anni fa, per esempio, sarebbe stato probabilmente possibile riconvertire l’area di Porto Marghera in modo che potesse accogliere le tante straordinarie produzioni non chimiche che si sono sparse nel Veneto in quegli anni di crescita economica.

Una economia funzionale a una Venezia come cuore vitale, molto brevemente, avrebbe potuto presentarci come una città all’avanguardia. Questa è stata la grande occasione persa per Venezia, le scelte politiche degli ultimi vent’anni hanno puntato su di un modello economico e sociale opposto a quello che ho sopra descritto, un modello fondato sul mero sfruttamento incontrollato del territorio e della bellezza di Venezia.

L’unica economia alla quale Venezia ha aperto le porte è stato il turismo, senza però alcun piano organizzativo e gestionale che ne traesse il giusto valore, di anno in anno i flussi incontrollati sono cresciuti arrivando a quota, sembra, di trenta milioni di visitatori. Dico sembra perché neppure l’analisi statistica dei flussi è stata istituzionalizzata, forse per destare meno preoccupazione.

Ma in questi ultimi vent’anni mentre il turismo cresceva fino a raggiungere i trenta milioni di visitatori, cosa succedeva alla città di Venezia? Corrispondeva l’economia del turismo a una ricchezza per Venezia?

Negli stessi anni del boom turistico abbiamo assistito a un calo della popolazione residente passata da 93.000 cittadini nel 1981 a 56.000 nel 2014: circa -40% residenti negli ultimi 30 anni.

Generazioni intere di giovani nati a Venezia o laureati nelle prestigiose università veneziane, costretti a fare le valigie per trovare un lavoro e una casa per costruirsi un futuro, fuori da Venezia. Qui oltre al comparto turistico non c’è lavoro e il mercato immobiliare ha subito una impennata dovuta alla richiesta di seconde case e spazi per il turismo.

Ogni anno decine di migliaia di metri quadri di spazi residenziali una volta destinati ai cittadini, ai quali il Comune concede il cambio di destinazione d’uso in attività ricettive per turisti, affittacamere, B&B e hotel.

A fronte della crescita dell’economia del turismo, il Comune di Venezia negli ultimi tre anni ha accumulato un deficit di bilancio di diverse centinaia di milioni di euro che hanno reso necessario il taglio di alcuni servizi fondamentali e l’aumento delle tasse comunali che sono diventate fra le più alte in Italia. Il Comune da anni non ha i fondi per mantenere Venezia e i suoi monumenti ed è obbligato a vendere il proprio patrimonio immobiliare di pregio per coprire solo una parte del buco di bilancio e utilizzare la facciate di monumenti più prestigiosi per campagne pubblicitarie che possano sostenere i costi di restauro.

Oltre all’esodo della popolazione residente, abbiamo visto la chiusura o il trasferimento di migliaia di attività storiche veneziane, di uffici pubblici e privati, tutti impossibilitati a mantenere la sede a Venezia per motivi di costi immobiliari gonfiati dalla domanda turistica e di bacino di utenza ormai ridotto all’osso.

Parallelamente le attività commerciali oggi sono in mano da una parte a grandi brand appartenenti a multinazionali del lusso e dall’altra a bazar di souvenir definiti veneziani ma prodotti in paesi del terzo mondo. Entrambe queste tipologie di attività non portano una ridistribuzione estesa della ricchezza sul territorio, la merce venduta a Venezia ai trenta milioni di turisti nella maggior parte dei casi non è prodotta nel territorio, spesso non impiega residenti nella vendita, spesso la proprietà non è nemmeno persona fisica.

Il territorio poi è sfruttato senza alcuna logica organizzativa e di distribuzione dei flussi, con il risultato che Venezia subisce un sovraffollamento per diversi periodi dell’anno, mentre altre aree del territorio comunale sono completamente dimenticate: il Lido di Venezia, antica perla del turismo d’élite internazionale, è in stato di abbandono, Porto Marghera che era una delle più grandi aree industriali d’Europa oggi vuoto non offre posti di lavoro ed è un deserto industriale putrescente, Mestre dopo trent’anni ancora in cerca di una propria identità.

Questi i risultati delle scelte politiche intraprese e sostenute per decenni a Venezia da una classe politica locale che si è contraddistinta per numerosi scandali di corruzione, sperpero di denaro pubblico in opere pubbliche inutili, favori in cambio di voto clientelare e inadeguatezza su tutti i fronti.

Una classe politica sostenuta certamente da una popolazione in alcuni casi complice, in altri miope, in altri rassegnata e che sicuramente avrebbe bisogno di un ricambio di nuova linfa vitale proveniente da fuori.

Per il rifiuto attivo che provo verso questo modello che sta uccidendo Venezia, come imprenditore e come cittadino veneziano, sostengo l’opera di Andrea Morucchio e il suo messaggio politico.

Un messaggio che parte dalle centinaia di articoli di testate internazionali che trattano di Venezia e che riportano in modo genuino lo sdegno che ogni persona prova nel conoscere la condizione verso la quale pare destinata la città più bella del mondo.

Una denuncia verso la vergogna che noi proviamo a dover leggere in tutto il mondo di scandali che ci riguardano direttamente, dalle Grandi Navi che continuano imperterrite a passare nel Bacino di San Marco, alla corruzione che ha investito una classe politica che però continua a governare la città, allo spopolamento di una città che sta diventando un parco divertimenti a tema.

Ma non è un messaggio rassegnato, insieme all’artista è proprio la via dell’olfatto a segnare un richiamo a quella che è l’essenza di Venezia attorno alla quale bisogna costruire il futuro della città. Questo profumo primordiale, estrapolato da un passo di Brodskij che definisce l’essenza di Venezia quella delle alghe ghiacciate d’inverno, un profumo misto verde e vegetale, che ci richiama alla essenza naturale e primordiale della città “Anadiomene”, nata dalle acque come la Venere Anadiomene.

Per la realizzazione di questa essenza ci siamo avvalsi di un grande “naso” italiano, Maurizio Cerizza di AFM, maestro profumiere di grande esperienza che nella sua storia professionale ha creato centinaia di profumi di successo. In una giornata invernale lo abbiamo accompagnato in barca a immergersi negli odori di Venezia e della laguna più incontaminata per poter recepire gli stessi odori che hanno ispirato il passo di Brodskji e poterli ricreare per la nostra installazione. Ne abbiamo poi realizzato una produzione limitatissima per quanti desiderino possedere la “essenza di Venezia”.

L’opera di Morucchio è intesa ricreare un’atmosfera sinestetica che avvolga i sensi del visitatore per colpirlo in toni forti alla vista con i titoli scioccanti delle testate internazionali che denunciano la speculazione su Venezia e all’udito con il rumore delle registrazioni subacquee del traffico marittimo della laguna, ma infine il visitatore attraverso l’olfatto è richiamato alla essenza primordiale di Venezia, un odore che riporta il pensiero alle sue acque, alla sua vegetazione, alla sua dimensione delicata e più vera.

E nel rispetto della sua dimensione naturale e nella valorizzazione di questo patrimonio unico al mondo, l’artista e tutti noi che abbiamo collaborato al progetto The Rape of Venice vogliamo richiamare l’attenzione e l’impegno attivo di tutti coloro che vivranno in modo sinestetico l’opera a favore di Venezia.