Catalog published for the group show project La Fine del Nuovo / The End of the New - XX Contemporary Art 1996 - 2016 | curated by Paolo Toffolutti / Neo Associazione | Udine 2017
"La Fine del Nuovo", testo critico di Giulia Trevisan, 2017, ita
Centoventi sono le opere che compongono la tredicesima tappa de La Fine Del Nuovo, Fakebook. Ospitata dalla casa degli Artisti Visivi Croati HDLU, presso il Meštrovićev Paviljon di Zagabria, sarà fruibile fino al 12 marzo.
Il concetto di Nuovo nell’arte contemporanea, già esplorato nelle tappe precedenti della mostra ideata da Paolo Toffolutti e Neo Associazione di Udine, viene riproposto in chiave sempre nuova con questo corposissimo capitolo, che vede affiancati artisti diversi per tecnica, nazionalità e pensiero, e opere in dialogo tra loro.
Ci si può ancora confrontare con il concetto di Nuovo nell’arte? Esiste ancora? E se sì, ha ancora significato?
Con queste domande si confrontano le opere scelte in quest’esposizione; da fotografie a video, da pitture ad installazioni, i ventidue artisti in mostra hanno risposto alla chiamata in maniera sempre diversa e peculiarmente connessa, affrontando il tema da diversi punti di vista alle volte condivisi ma mai uguali.
Annalisa Avon – ad esempio-, con i suoi Paysage e Paysage oggi, affronta il tema dell’immagine come affezione riproponendo un determinato schema figurativo per due stampe digitali distanti nel tempo. Ecco quindi che ci si confronta con la questione della valenza aptica della fotografia e le sue implicazioni artistiche, un tema nato con l’avvento di questo mezzo ma ancora non definito. Anche Andrea Pertoldeo indaga il mezzo fotografico proponendo una serie di laste intitolate Nove varianti di un paesaggio qualsiasi che si confronta con la questione della scelta nell’arte fotografica, il punto di vista del fotografo che determina la vita della fotografia stessa. A partire da un punto di vista unico su cui ruota, registra nove scatti diversi che danno vita a nove paesaggi completamente differenti, una commistione tra naturale e artificiale che punta a far riflettere sulla veridicità e valenza documentale della fotografia.
Anche Gino d’Ugo indaga, con la sua installazione Less is more, sull’essenza degli oggetti e sulla nostra percezione delle cose quotidiane. Ecco quindi che un tavolo con due sedie, estrapolato dal suo contesto famigliare, ci permette di soffermarci sulla valenza degli oggetti che ci circondano e di cui non ci rendiamo più conto. Qualcosa che si dà per scontato che però ci condiziona, inevitabilmente.
Un pensiero che tocca anche Daniela Spaletra che, con il suo video Senza titolo, propone una sequenza rallentata di immagini che ritraggono beni primari (pane, farina, acqua, riso) creando un’atmosfera di annichilimento che porta alla riflessione sull’essenziale della vita.
La questione dell’essenza come dettaglio accomuna anche altri due artisti, Carlo dell’Acqua e Silvia Hell. Il primo con Coca Nero, un video che ritrae in loop una Moka in primissimo piano, smonta la realtà attraverso il dettaglio dell’immagine e la ripetitività che ne annulla la temporalità, creando quindi un simulacro; la seconda con The wished for a narrative isn’t holding – una serie di quattro fotografie - crea un punto di rottura con l’immagine stessa e la sua percezione; puntando la fotocamera direttamente allo schermo di un computer e inquadrando solo dettagli di un insieme, crea una dissociazione che mette in allerta il fruitore: il dettaglio, l’essenziale come punto di svolta.
Rottura che è fulcro dell’opera di Aurelio Andrighetto, Crash, un video in cui immagini e suono viaggiano a su due piani differenti, creando un gap che porta l’attenzione sul rapporto immagine-testo e immagine-suono.
Differita che per Luca Scarabelli costituisce invece una realtà diintervalli, quei momenti di pausa della vita che ci permettono di accorgerci dello scorrere del tempo stesso e della valenza delle cose che ci accadono e ci circondano. Con il suo vaso di vetro contenente tanti chicchi di riso quanti i giorni della sua vita, Intervallo appunto, ci invita a soffermarci coscientemente sul flusso di coscienza che creiamo e da cui siamo circondati e a dare il giusto valore ad ogni singolo dettaglio.
Il lavoro sulle dissonanze, tipico della narrativa contemporanea, permette agli artisti di confrontarsi in modo sempre personale ed originale con tematiche che non sempre sono nuove. Fotografie come ad esempio Antiquario MTV di Robert Pettena, lavorano su un altro tipo di doppiaggio, quello tra immagine e significato. Il contrasto tra interno ed esterno, tipico della nostra società, diventa quindi tema principe della sua poetica, in cui va ad enfatizzare, attraverso il rapporto a staffetta tra immagine e titolo, le discordanze non sempre apparenti tra ciò che vediamo e ciò che realmente ci viene proposto. Una questione tipica del mezzo fotografico che più di tutti inganna il fruitore facendo dimenticare la componente artistica e potenzialmente manipolatoria dell’opera, il rapporto sempre in differita tra referente, significato e significante.
Un aspetto che viene tangenzialmente affrontato anche nel trittico di fotografie Factory Series #12 realizzato da Andrea Morucchio. Scattate nella zona industriale di Porto Marghera, fanno emergere una riflessione sulla fotografia stessa tramite accorgimenti stilistici che portano l’immagine in bilico tra onirico e reale.
Un confine tra poesia e realtà che si percepisce anche dal complesso dei video-lavori di Luigi Viola, che più che video arte si potrebbe definire video poesia, un’esplorazione stratificata dell’anima attraverso le immagini.
Il concetto di Nuovo nel mondo dell’arte è però spesso legato alla società in cui si va formando e da cui scaturisce; concetto valido per artisti con opere forti come East Side Story, un doppio video realizzato da Igor Grubić e che affronta tematiche sociali come la violenza nata dalla discriminazione messa a confronto, nell’atto puramente gestuale, con una sua corrispondenza artistica legata alla danza contemporanea.
Calata nel sociale è anche l’opera della coppia Sandro Mele e Luca Galofaro – Ex resident Bavetta – che investe l’arte di un ruolo di denuncia politica; anche Maria Grazia Cantoni propone opere di denuncia in difesa di un territorio – le Alpi Apuane - e del suo sfruttamento. Con il video Il Monolite mira a ricreare con una performance evocativa il rapporto tra Carrara e le sue tradizioni, che va pian piano scomparendo.
Il rapporto con il territorio e i suoi cambiamenti è vicino anche alla tematica di Primož Bizjak che espone il suo Campamento n. 4 Madrid, una stampa analogica su metacrilato che nasce da uno studio delle città e dei loro cambiamenti fatto a partire da riprese notturne. L’eterno evolversi delle cose e il loro scorrere silenzioso.
Un terzo macro tema che si può estrapolare da questa mostra è quello del Sé, che può dar vita ad opere tanto diverse quanto comuni, come dimostrano Matteo Fato e Francesca Piovesan.
Il primo, con il suo Autoritratto video, indaga il rapporto tra realtà e naturalità attraverso il sé; la seconda, invece, attraverso la sua serie a tecnica mista con opere come Volto o Seno, propone e presenta una propria idea del corpo e del nostro rapporto con esso: il contatto, il cambiamento e tutto quello che ne deriva.
Autori come Saverio Tonoli Adamo, invece, cercano il Nuovo partendo dalla tradizione, proponendo una nuova interpretazione tecnica dell’affresco nel suo trittico O.T..
Il sempre più attuale rapporto tra arte e scienza, invece, si può incontrare nelle opere di Enrico Siardi, come ad esempio Sasso, che fanno parte di un progetto più ampio che mira a portare ipotesi scientifiche su un piano di realizzazione artistica, riducendo la distanza tra mondo umanistico e scientifico. Vi sono anche opere che abbracciano l’altrettanto delicato e annoso rapporto dell’arte con l’arte, la contemporaneità con la tradizione. Ecco quindi Retrospettiva di Goran Trbuljak che diventa critico e allo stesso tempo curatore di se stesso, mettendo quindi in discussione i ruoli dell’arte e la tradizione di un sistema spesso autoreferenziale.
Un concetto affrontato su un piano diverso anche dall’unico artista che si è proposto con delle performance, Emilio Fantin. Con L’abito pedagogico, performance in cui alcuni ragazzi dell’Accademia di Belle Arti di Zagabria creavano un’opera a partire da alcuni vestiti in una valigia. Scegliendoli, stirandoli e preparandoli per essere appesi alla parete secondo criteri di scelta personali. Ecco quindi che il momento educativo e di formazione viene estrapolato dai suoi luoghi d’origine e portato in una galleria, che ne modifica il significato e la valenza simbolica.
Arte che parla di arte, di sociale e del sé. Tre temi tutt’altro che nuovi ma che ragionano ancora sulla novità e su un mondo, non solo culturale, che è in continua evoluzione ed involuzione, modificando alla radice il concetto di nuovo e rendendo quindi difficile enucleare le idee, i mezzi e le opere che, al di là dello stupore, portano con loro qualcosa di estremamente unico.